Igor il Greco, cameriere del Bar al ponte 10, ci sveglia alle h5:45 con la delicatezza che solo un marinaio imbarcato sulle navi cisterna può avere. Arrivo stimato (secondo i nostri calcoli) per le h14:00, per fortuna mancano soltanto altre 8 ore che trascorreremo cercando di bivaccare tra i tavolini e i divani, sempre con un occhio aperto, in attesa della prossima visita amichevole di Igor. Scheduliamo subito un programma con cambio della guardia scadenzato ogni 45 minuti in modo che il compagno dormiente sia avvisato per tempo e non debba dar spiegazioni ad Igor che parla solo greco arcaico.
La temperatura del ponte 10, che nella notte si era miracolosamente assestata su un livello più umano, torna in picchiata e ci costringe a vestire come se fosse inverno inoltrato. Questo distoglie la nostra attenzione dal fatto che siamo in Agosto e stiamo per sbarcare in Grecia, dove le temperature attese sfiorano i 40 gradi. Ci aspettano giorni di sofferenza e le ore di ritardo che vanno via via ad accumularsi non facilitano… saremo infatti costretti a macinare chilometri a tempo record e soprattutto nelle ore più calde della giornata.
Lo sbarco è il momento della verità… alle ore 13:00 siamo sul suolo ellenico ma le temperature sono del tutto inadeguate a quello che ci stiamo accingendo a compiere, ovvero una crono-scalata alle pendici del Pindo (catena montuosa), con motori raffreddati ad aria e zavorre al seguito. Senza pensarci troppo ci facciamo fare una foto al volo prima che le gomme si squaglino sull’asfalto rovente, per poi partire a ruote fumanti.
Prima di lasciare Igoumenitza ci rifocilliamo dei beni primari, acqua olio e benzina, e imbocchiamo la vecchia strada che porta a Ioannina in direzione Meteora, quella nuova infatti è più veloce ma indicata come autostrada e non essendoci informati circa il codice della strada Ellenico, decidiamo di non rischiare. Percorriamo la salita verso il passo illudendoci di trovare temperature più miti in quota, la realtà ci piomberà addosso violenta: sembra di essere in spedizione verso il sole e le temperature sono stellari. Fendiamo l’aria calda ora in posizione aerodinamica ora con avambracci al cielo per gratinare in modo uniforme gli arti superiori, mentre le gambe sono ben protette da uno spesso strato di jeans mantenuto come vestigia dalla nottata polare…
Di tanto in tanto il vento soffia deciso a ricordarci che c’è anche lui nel calderone delle calamità naturali che oggi sembrano volersi abbattere su di noi: ci colpisce a tradimento, spostando enormi masse d’aria che creano raffiche brevi ma intense che si abbattono sulla nostra pelle come scudisciate romane. Le frustate sono così forti e bollenti che a tratti abbiamo la pelle d’oca, sembra che i primi strati cedano e vengano via. Il dolore è di breve durata ma intenso e brividi di freddo si scagliano come fulmini dal capo fino si polpacci, scendendo giù per la schiena. Ci sono momenti in cui il cervello vorrebbe mollare, addormentarsi o svenire di colpo potrebbe sembrare la soluzione al male, alla fatica, all’attenzione che bisogna prestare nel guidare un mezzo di quasi 40 anni, un mezzo in cui la frizione non stacca, il freno anteriore rallenta anziché frenare, le marce non entrano o peggio, scappano fuori facendoti sfollare e sbandare mentre i camion sono in sorpasso e poi, per una sorta di arcaico istinto di sopravvivenza il corpo produce anch’esso una scarica, un guizzo viscerale quasi fosse una scarica di adrenalina, il cervello torna lucido, la vista smette di essere appannata, riprendi le facoltà, prima quelle motorie: afferri con forza il manubrio quasi a voler sentire il contatto che la ruota trasmette dall’asfalto, sei di nuovo lì, la scudisciata è passata, il dolore sta scomparendo, sai che non puoi mollare, hai un viaggio da compiere e la pelle da salvare.
Nulla è perduto, ti risistemi sulla vespa e aspetti la successiva ondata, sai che farà male ma cerchi di non pensarci, ti dedichi anima e corpo alla Vespa, cerchi di entrare in sintonia, di concentrarti su quel che stai facendo e così il ciclo si ripete, per secondi che sembrano ore e minuti che paiono giorni ma questo è il viaggio e val la pena affrontarlo.
Esausti spegniamo le vespe all’ombra di un piccolo bar (unico segno di civiltà nel raggio di chilometri) che per 2€ a testa ci rifornisce di birra e cubetti carne grigliata, come solo i greci sanno fare. Dopo chilometri nel nulla, ci appare come un miraggio: dura poco e siamo ancora fuori al caldo ma fermarsi all’ombra e riprendersi vale davvero la pena della sosta.
Ioannina è a portata, un’ora e ci siamo, stringiamo i denti e ci lasciamo trasportare dagli eventi. Guadagnamo il nostro posto in un camping dignitoso e in riva al lago: per meno di 25€ in due con le vespe non potevamo sperare in meglio.
Dopo aver scambiato qualche parola con un Vespista italiano di Torino in giro in solitaria ci dirigiamo verso il coronamento di un sogno: l’agognata doccia è davanti a noi. Abbiamo un solo contenitore del bagnoschiuma ed entrambi scalpitiamo, vogliamo fare “il primo turno” quindi abbiamo soltanto due soluzioni, fare la doccia assieme o passarci il sapone. Optiamo (fortunatamente) per la seconda e scegliamo due docce parallele, comunicanti dall’alto.
Ci passiamo il sapone e la giornata di colpo svolta, il refrigerio è massimo, la goduria alle stelle. Usciamo con una promessa: l’indomani non si viaggia sotto il sole, ergo: sveglia alle 3:00.
– Stay tuned –
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